Circolo Culturale Libertario Rimini

Non è il momento dei distinguo

by on Mag.18, 2022, under Antimilitarismo, General

Quello che è successo a Rimini nei giorni scorsi non è un caso; non c’è bisogno di denunce formali per capire che cosa ha rappresentato l’invasione degli alpini: l’ espressione della cultura patriarcale maschilista e sessista. Non sono pochi infiltrati, non sono poche mele marce: la cultura militare è questo.
Non è il momento dei distinguo.
Il dominio patriarcale dà una ben determinata visione dell’uomo, della donna e dei loro corpi: l’uomo forte e macho, protettore/liberatore/aggressore che sente il diritto ed il potere di giudicare, toccare, sbeffeggiare, difendere o violare il corpo della donna. La donna intesa ancora come debole e sottomessa, indifesa/riproduttrice/vittima. Anche se i ruoli di genere tradizionali stanno subendo una picconata dopo l’altra, il corpo della donna è ancora legato all’iconografia patriottarda che lo vede come corpo che deve essere a tutti i costi difeso o violato.
A questo proposito si vedano alcuni aberranti commenti alle segnalazioni di Non Una di Meno Rimini, Pride Off e Casa Madiba, a cui va tutta la nostra solidarietà.
In ogni conflitto bellico il corpo diventa il confine biopolitico cruciale, lo vediamo anche ora in Ucraina. Il maschio sferra il proprio attacco sul corpo della donna. La violenza sessuale sulle donne è usata come arma e strategia di guerra alimentando la sottomissione e la paura del nemico così come le gerarchie di genere. Lo sfruttamento e violazione del corpo della donna è un vero un strumento per raggiungere l’affermazione militare e quindi un vero e proprio terreno di dominio militare.
Dall’altra parte della barricata, la propaganda bellica nazionale fa della violazione del corpo femminile un oltraggio al nucleo più intimo e stabile della nazione, la famiglia, e quindi una vera e propria onta per tutta la patria. Sta allo stato, attraverso l’uomo soldato, ristabilire la sicurezza violata, in modo da poter rivendicare/rinnovare il modello di famiglia patriarcale in cui la guida è l’uomo che deve dominare e proteggere la donna. Nella dialettica patriarcale e militare, l’uomo ha sia il potere ed il diritto di aggredire, cosi come quello di salvare. La incoerente dualità del potere patriarcale-militare vede il soldato come un giustificato aggressore di corpi di donne da violare e dominare in territori nemici, e al tempo stesso, stimato protettore delle rappresentanze “più deboli” della famiglia a e della società in patria.
La cultura dello stupro e la sua propaganda non servono solo nei territori in guerra: anche qui, in Europa, il corpo della donna diventa strumento per la legittimazione di politiche securitarie ed imperialiste, di cui l’esercito non è che il braccio armato; ciò che viene spacciato per protezione si traduce nelle strade in criminalizzazione e repressione di tutte quelle individualità e quei gruppi che non si omologano e non alimentano le gerarchie di genere tradizionali. Queste individualità sono spesso considerat* dai regimi democratici troppo fuori dallo schema patriarcale perché non in linea con le gerarchie di genere e di conseguenza destabilizzano stabili ed antiche dinamiche di potere difficili da abbandonare.
La mentalità militare non è solo una questione di genere ma quintessenza del regime patriarcale; si fonda sull’intimo legame tra potere, violenza e superiorità fisica, sul disprezzo della debolezza e culto della forza, ma soprattutto sul rispetto della gerarchia e sulla cieca obbedienza agli ordini, in una parola sul dominio. La donna deve accettare la sottomissione perché è una caratteristica intrinseca del militarismo e della gerarchia di genere.
Nella lotta per sradicare la cultura patriarcale crediamo sia necessario assumere l’antimilitarismo come valore cardine, stimolare il dibattito e programmare un’azione politica che tenga conto di questo legame.
Essere antimilitarista significa schierarsi contro ogni forma gerarchica e di dominio, significa scardinare l’immagine che la società ha della donna, significa rivendicare l’auto-determinazione e la costruzione di un mondo basato su altri sistemi possibili, che non prevedano la sopraffazione ma l’orizzontalità, il riconoscimento dell’altr*, sicuramente non fondati su una presunta identità nazionale ma sull’uguaglianza nella libertà e sullo smantellamento della superiorità di gerarchica e di genere.
Spezzare le catene patriarcali vuol dire infrangere e rifiutare le istituzioni totalitarie, a partire dagli eserciti, da tutte le “forze di sicurezza” e dalle loro prigioni, per gettare le basi di un mondo inclusivo da condividere assieme senza gerarchie, senza dogmi e senza confini.
Le compagne e i compagni del Circolo Culturale Libertario di Rimini
(grazie a Cristina, Umanità Nova 10/03/2019)

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